Giovanni Pagliari, cuore di Grifo

28 Febbraio 2019

Sabato contro il Foggia mister Giovanni Pagliari festeggerà le 500 panchine.

Nato a Tolentino il 15 ottobre 1961, perugino d’adozione, mister Pagliari vanta una lunga esperienza sia da calciatore che da allenatore. Con il Grifo sul petto, Pagliari ha collezionato 163 presenze condite da 34 gol.

La sua esperienza da allenatore inizia nel 1994 con gli allievi della Maceratese: “É passato molto tempo, avevo 33 anni. Smisi di giocare a calcio due mesi prima e si aprì un altro mondo dopo 17 anni da calciatore. Non fu una scelta sofferta ma fatta con la testa”.

Se potesse dare un consiglio al Giovanni Pagliari di 25 anni cosa gli direbbe?

Gli consiglierei di essere meno impulsivo e più razionale, di evitare alcune battaglie perse in partenza.

Cosa le hanno lasciato le tante città dove ha allenato?

A L’Aquila fu un’esperienza meravigliosa perché facemmo tornare il sorriso a tante persone dopo il terremoto. A Foligno ci siamo salvati insieme ai direttori Pizzimenti e Cherubini. Sono rimasti tanti bei rapporti umani. Perugia rappresenta il mio unico rimpianto perché la sensazione è che fossi al posto giusto ma nel momento sbagliato.

Tom Landry, allenatore di football americano, disse: “Un allenatore è qualcuno che ti dice quello che non vuoi sentire, ti fa vedere quello che non vuoi vedere, in modo che tu possa essere quello che hai sempre saputo di poter diventare”. É d’accordo?

É un bel riassunto della mia carriera e centra un punto molto importante e cioè che nel calcio bisogna sempre essere pronti a recepire anche quello fa male, cosa che io ho sempre provato a fare. Un allenatore deve dire la verità perché non forma solo calciatori ma soprattutto uomini.

Lei non è perugino di nascita ma ha rifiutato la panchina della Ternana. Come spiegherebbe questa scelta a una persona estranea al mondo del calcio?

La spiegherei dicendo che fu una scelta definitiva della mia carriera in cui ho sempre messo al centro la passione e l’amore a discapito di altri interessi. La felicità di stare sul campo nel modo in cui io voglio starci per me è sempre stata superiore a qualsiasi contratto.

A proposito di derby, com’è stato affrontare suo fratello, anche lui allenatore?

Ci siamo incontrati tre volte. In due occasioni ho vinto io, con la Maceratese e il Perugia. Una volta ha vinto lui quando allenava il Pisa e io ero a L’Aquila. Fu un’emozione bellissima ma ci fu anche molta tensione perché è l’unico tipo di partita in cui se vinci un po’ ti dispiace per l’altro e se perdi ci stai male doppiamente. Quella che abbiamo sentito di più è stata Perugia-Lanciano quando, chi avrebbe perso, sarebbe andato ai play-out. Quella partita fu drammatica mentre le altre, che non furono così decisive, all’insegna dello sfottò.

Quanto è diverso allenare la prima squadra e la Primavera?

É totalmente diverso. Con la Primavera è bello vedere la crescita dei ragazzi e questo a volte è più appagante dei risultati, mentre con la prima squadra il risultato è fondamentale. I giovani ti aiutano a essere giovane, si vive più serenamente. Un’esperienza bellissima.

Ha qualche aneddoto a cui è particolarmente legato?

Dal punto di vista romantico la vittoria del campionato a L’Aquila fu qualcosa di speciale. Andammo con le persone anziane in giro per la città che era stata martoriata dal terremoto. Uno di loro mi disse: “Dopo tanti anni ci hai fatto tornare il sorriso”. Umanamente è uno dei ricordi più belli che ho. Dal punto di vista prettamente calcistico, il capolavoro a cui non è stato dato risalto, fu la salvezza con il Foligno. Nella partita decisiva a Terni segnammo al novantatreesimo con La Mantia e facemmo retrocedere la Ternana.

Quali sono i suoi obiettivi per il futuro?

Mi piacerebbe rimanere a Perugia, portare qualche giocatore in prima squadra nel giro di 2-3 anni sarebbe un’enorme soddisfazione.

Ci sono persone che vuole ringraziare?

Ringrazio mia moglie che mi ha sopportato e supportato. É una donna intelligente che mi ha sempre amato e che mi è sempre stata vicina. E poi vorrei ricordare una persona che non c’è più, Ezio Volpi, che mi chiamò dopo la vittoria del campionato a Chieti e mi disse: “Giovanni ho visto i consigli che dai ai compagni in campo e secondo me diventerai un buonissimo allenatore”. Questa è una delle cose che mi ha spinto a intraprendere questa carriera.

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